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La Canon 7D e Darwin Wiggett
Nel Goodmorning di qualche giorno fa, abbiamo accennato alla recensione della Canon 7D effettuata dal fotografo Darwin Wiggett.
I risultati e l’analisi che Wiggett ha fatto delle foto scattato con la 7D, ha suscitato più di qualche dubbio, considerando che, un po’ in tutto il resto del web, la reflex Canon è stata recensita molto bene e di certo non ha mostrato risultati così scarsi. Tanto più che Wiggett ha testato ben tre esemplari differenti di questa macchina, riscontrando risultati analoghi.
Abbiamo dunque cercato di approfondire la questione individuando, a nostro giudizio, il problema che ha causato risultati così anomali. Pur non avendo ancora ricevuto in prova una 7D, abbiamo cercato di capire, tramite gli scatti ed i dati associati, la natura di risultati così differenti tra macchine sia di fascia simile, che di fasce superiori o inferiori.
La cosa che più ci ha sconcertato, è stato il risultato nettamente più nitido delle compatta Canon G11, rispetto alla più blasonata 7D. Se una certa differenza tra 7D e 1Ds Mark III o D300s può anche essere considerata accettabile, considerato il sensore FullFrame di queste macchine, il confronto con la più economica 450D ed ancoa più con la G11 è davvero impietoso, anche considerando l’elevata risoluzione del sensore della 7D.
A giudicare da tutti gli altri test effettuati sul web, la nitidezza ed il contenimento del rumore di questa macchina sono a dir poco eccezionali e non rispecchiano in alcun modo le foto mostrate da Wiggett.
Ad un primo esame, abbiamo imputato il problema ad una errata elaborazione del RAW. Wiggett, a dire il vero, ha aggiornato il suo articolo segnalando di aver ottenuto risultati leggermente migliori utilizzando ACR invece che DPP. Anche questo è molto strano, in quanto, solitamente, DPP permette di ottenere risultati migliori di ACR in diversi casi, anche se sostanzialmente sono molto simili.
L’ipotesi di una maggiore necessità di sharpening da applicare in post produzione è stata però ben presto scartata. Utilizzando una elaborazione simile (come quella utilizzata con ogni probabilità da Wiggett) su tutti i RAW, la definizione non può essere così differente.
La verità è saltata fuori quando abbiamo notato l’obiettivo utilizzato per la maggior parte delle prove, il TS-E 45mm, e soprattutto le aperture di diaframma, quasi sempre superiori a f/11.
Purtroppo non abbiamo trovato grafici MTF relativi a questa ottica, quindi abbiamo preso come riferimento il TS-E 24, per molti versi simile al fratello più grande. In ogni caso, non è la prestazione dell’ottica in sé, ma il comportamento generale che, più o meno, hanno tutte le ottiche a quelle aperture.
Il test in questione è stato effettuato su una Canon 5D Mark II, con una densità di pixel di molto inferiore rispetto alla 7D (cosa molto importante di cui parleremo più tardi). Se controllate la nitidezza, rappresentata dalla curva in alto a destra, a f/3.5, noterete come sia piuttosto buona, superando il valore di 2000 linee su quasi tutto il fotogramma, ad eccezione dei bordi. Portando però l’otturatore ad un valore simile a quello utilizzato da Wiggett, per esempio f/16, noterete coma la curva sia nettamente più bassa, superando a malapena le 1500 linee, un valore in assoluto molto scarso e segno di una nitidezza veramente limitata.
Questo difetto non è da imputare ad una scarsa qualità dell’ottica, che non è assolutamente in discussione, ma ad un preciso limite fisico chiamato “diffrazione”. In parole semplici, i raggi luminosi si comportano come onde e “fanno fatica” a passare attraverso passaggi molto ridotti (come quello opposto dall’otturatore se chiuso a f/16), causando appunto una diffusione differente dei raggi, che sul fotogramma comporta una nitidezza via via sempre peggiore. Questo difetto è tanto maggiore quanto piccoli sono i fotositi, cioè i ricettori di luce che compongono il sensore. Con un sensore così denso come quello in dotazione alla 7D, con i suoi 18Mpixel, i fotositi sono davvero piccoli, molto più di quelli della 5D Mark II utilizzata nei test di cui sopra ed ancora più piccoli rispetto alla 1Ds Mark III utilizzata da Wiggett, senza contare la Nikon. Questo fa si che il fenomeno rifrattivo, a piccole aperture del diaframma, sia decisamente più elevato sulla 7D rispetto alle altre macchine, causando la perdita di dettaglio e di nitidezza che possiamo osservare nelle foto delle recensione incriminata.
La cosa, tra l’altro, è confermata dalle foto ad aperture maggiori, come quella effettuata ad f/8, dove le differenze di nitidezza, seppur ancora presenti, sono nettamente più limitate e facilmente recuperabili applicando una leggera maschera di contrasto.
I risultati (scarsi) ottenuti da Wiggett sono causa delle particolari condizioni in cui ha scattato. E’ però da tenere in considerazione che il post incriminato non è da considerare assolutamente una recensione vera e propria, quanto piuttosto una personale e circoscritta prova sul campo fatta dal fotografo.
Leggendo un po’ il suo blog, si evince facilmente come l’ambito da lui preferito sia la fotografia naturalistica e di paesaggi, un cui è prassi comune utilizzare diaframmi abbastanza chiusi per poter aumentare la profondità di campo ed ottenere dunque paesaggi con una nitidezza identica a distanza molto vaste.
Da tutta questa vicenda possiamo trarre alcune conclusioni. La 7D soffre più di tutte le altre macchine del fenomeno della diffrazione, non per difetti intrinsechi, quanto per evidenti motivi di fisica delle onde.
Una piccola formula matematica può aiutarci a quantificare il limite di diaframma oltre il quale la diffrazione inizia a peggiorare la nitidezza.
f= 50,5/FattoreDiCrop/RadiceMpixel
Se dunque svolgiamo il calcolo per la 7D:
f=50.5/1.6/Radice di 18
Otteniamo f/7.4, quindi molto inferiore all’f/16 utilizzato da Wiggett.
Tirando le somme, il perché del parere abbastanza negativo dato da Darwin Wiggett sul suo post è diretta conseguenza delle particolari condizioni con cui ha realizzato il suo test. Per prima cosa, l’oggetto del fotografare non è specificamente adatto alla macchina, che fa della velocità e precisione di AF il suo cavallo di battaglia. La scarsa elaborazione ha portato ad accentuare il difetto fisico intrinseco nel sistema del sensore, peggiorando ulteriormente la situazione.
Le conclusioni che possiamo trarre da questo episodio sono che ogni parere dev’essere preso con il giusto beneficio del dubbio, perché una semplice occhiata ai dati di scatto avrebbe sollevato immediatamente più di un dubbio.
In ogni caso la 7D rimane un’ottima macchina, anche da utilizzare per fotografare paesaggi ad aperture molto ridotte, con l’unica accortezza di applicare la giusta elaborazione agli scatti per tirarne fuori il meglio, cosa che si rende necessaria in ogni occasione e con qualunque macchina.